Aforisma 7: Stevie Wonder Dixit



Correva l’anno 1984, ma da allora gli anni hanno preso a correre ancora più veloci.

Forse più di altri, l’assolo di oggi rientra nella categoria degli aforismi: brevissimo, incisivo, perfetto nel suo genere. Parte dichiarandosi con pacata ma decisa autorevolezza e dopo una sapiente pausa, esplode in un acuto che è una lama affilata conficcata in un chakra. Dopo aver inferto questo colpo, l’armonica ricama baloccandosi e – mi si passi il termine –  “baroccandosi” con le note per poi accompagnare l’ascolto verso la ripresa del canto.

Tra tutti i musicisti, Stevie Wonder forse è quello che ha la maggiore capacità di suonare così come canta. Dire che suona come canta significa affermare che è un grande, immenso armonicista, ma la sua forza non sta certo nella tecnica, se per essa si intende ciò che Jean “Toots” Thielemans e i suoi epigoni sanno fare con quello strumentino.

In sua difesa, c’è da dire che Stevie Wonder non è un jazzista, né credo gli sia mai interessato esserlo. Tra le due, sono i jazzisti a non poter fare a meno di sapere cosa ha detto lui in musica, e non l’inverso. Inoltre, da un punto di vista strettamente strumentale, lui sa fare cose che mi sembra nessun altro sappia ottenere dalla cromatica. Mi riferisco allo staccato che se eseguito da lui, raggiunge la brillantezza di un pizzicato di violino1.

Insomma, suona il suo mondo e lo suona così bene da far venir voglia di viverci o di trasferirsi lì, di tanto in tanto.

Cercando di ricostruire i miei ricordi circa i primi incontri con la sua musica, arrivo fino a quando per radio sentii la famosissima Isn’t she lovely2. Il lunghissimo assolo finale fu per me un regalo fin troppo generoso ricevuto da una radio che molto di rado mandava brani suonati con l’armonica. Di solito, quando lo faceva, proponeva lunghissime filastrocche tanto care agli italiani, inframezzate da accordacci random tirati fuori da diatoniche suonate male.

Tra i miei ascolti, random pure quelli, compiuti tra la radio dei miei, lo stereo di mia cugina Felicia e quello di mio zio Francesco, ricordo di essermi imbattuto in uno spelndido That girl3 con un assolo di armonica che un giorno potrebbe meritare un aforisma tutto suo. Infine, in questo bricoladge sonoro, in una di quelle domeniche a casa del solito zio ho incontrato l’assolo oggetto dell’aforisma di oggi.

Sapendo della tendenza di Wonder a usare l’armonica in almeno un brano per disco, mi  sottoposi all’ascolto dell’intero LP The Woman in Red4, all’epoca una new entry della discoteca del mio parente, nell’attesa del suono del mio strumento preferito. Fui premiato durante l’ascolto del terzo brano, It’s you, nel bel mezzo del quale stanai l’assolo che trovate trascritto più in alto5.

Si trattava di una vera e propria perla rara: spesso, lo strumento al quale viene affidato l’assolo nella parte centrale di un brano, viene annunciato con brevi interventi a commento del cantato. Invece, ascoltando la prima parte di It’s you, non vi era traccia del suono di armonica e non era quindi possibile intuire la presenza dell’assolo. Questo può forse far immaginare la sopresa e la mia immensa felicità nello scoprire che anche quel disco contenteva un regalo per me.

Se la maggior parte delle persone erano interessate a I just called to say I love you, la canzone più famosa di quel disco, io avevo trovato otto misure che da sole valevano l’intero LP. Dopo l’assolo, l’armonica tornava a tacere e purtroppo non la si udiva nemmeno nella coda del brano, laddove un a mio parere bel costume molto diffuso tra gli arrangiatori dell’epoca, l’avrebbe fatta suonare consentendole frasi di respiro molto più ampio. Una piccola consolazione venne dallo scoprire che Wonder aveva deciso di suonare tutto il tema di It’s more than you, ultimo brano del disco, nel registro basso della sua cromatica a 64 voci.

L‘ ’84 era anche l’anno in cui Chaka Khan fece la sua versione di I feel for you6, una canzone scritta da Prince. In televisione trasmisero il videoclip e grazie a quello riuscii ad ascoltare il bruciante assolo di armonica di Wonder. E credo sia anche l’anno in cui conobbi Mario Falcone e Luigi Negroni, due amici e musicisti della mia città ai quali sono legato da ricordi particolari: il primo, chitarrista e poi batterista, aveva un’incredibile discoteca composta da centinaia di LP di jazz dalla quale io e mio cugino – il pianista, flautista e “melodicista” Gianluca Barbaro7 col quale negli anni ’80 mi stavo avvicinando a quel genere – abbiamo “rubato” moltissimo. L’altro era un vero e proprio prodigio: riusciva a cantare alla Stevie con quel piglio tipico e riproducendone alla perfezione il timbro8. Suonava anche l’armonica, stavolta con il suono e il fraseggio di Wonder.

La cosa che mi dà da pensare è che i miei ascolti erano così: fortuiti, casuali, non ripetibili a comando: infatti, come ho già raccontato in altre occasioni, a casa non avevamo uno stereo. Di sicuro ho perso molte occasioni, ma credo (o forse voglio solo sperare che sia così) che questo mi abbia regalato la capacità di assaporare le cose in modo diverso, facendomi imparare come mantenere inalterato il ricordo di un sapore, di un odore, di una sensazione per lunghissimi periodi. Ho imparato così bene che nel 2015 li riscopro del tutto inalterati.

É davvero strano poter oggi digitare un titolo in un qualsiasi motore di ricerca e trovare con estrema facilità brani, suoni, frasi. La domanda sorge spontanea: se all’epoca avessi avuto accesso a questo mare di informazione, sarei diventato migliore? Mi piacerebbe dirmi di no, ma temo che le cose stiano in modo diverso. Per fortuna, non mi viene data la possibilità di sperimentare una vita diversa e sono costretto ad accontentarmi di quello che sono, ben sperando per mio figlio, un nativo digitale che avrà il mondo a disposizione.

Intanto sono qui che digito, clicco, ascolto. Seduto su di un divano grigio, guardo di fronte a me le mie gambe, il mio corpo. La musica  nelle cuffie è la stessa di trentuno anni fa. Le sensazioni pure.

Le note di It’s you mi fanno ricordare nitidamente un Angelo sedicenne  seduto nella stessa posizione su un divano color panna. Il corpo che ho in mente è però diverso da quello che vedo. É più piccolo, più acerbo. Questo nitore del mio ricordo mi uccide.

Sorrido.

Ma vorrei piangere.


Angelo Adamo

Contatti:
Email: info@angeloadamo.com
Web: https://squidzoup.com

💥 HarmoniCa Mundi 💥


1- https://www.youtube.com/watch?v=_DXrWf0Pe1c

2- https://www.youtube.com/watch?v=9-n3Ydy7ras

3 – https://www.youtube.com/watch?v=eagQKwVendA

4 – colonna sonora dell’omonimo film, campione di incassi, di e con Gene Wilder e la bellissima Kelly LeBrock:
http://en.wikipedia.org/wiki/The_Woman_in_Red_%281984_film%29

5 – Piccola nota tecnica: le acciaccature che ho segnato nella seconda e nella quarta battuta possono sembrare errori di trascrizione: è noto, infatti, che è particolarmente difficile, se non addirittura stupido, tentare di passare in velocità da una nota soffiata a registro premuto a un’altra aspirata sul foro successivo. Il corretto modo di intendere quelle note viene dal riguardarle come piccoli glissati da ottenere con un breve bending nello stesso foro della nota di arrivo. In tal senso, forse avrei dovuto segnarli come appoggiature, ma la durata di questo effetto qui deve essere breve.

6 – https://www.youtube.com/watch?v=04yCea2HOhY

7 – http://www.barbaro.it/

8 – la sua voce da ragazzo all’epoca lo aiutava a essere molto duttile. Ora canta splendidamente riproducendo alla perfezione la bellissima voce di… Luigi Negroni