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da Manxcat » lunedì 28 aprile 2014, 6:48
Dunque, stabiliamo alcuni punti, poi ciascuno potrà riprendere il proprio pensiero e continuare e pensarla come meglio crede.
Infatti, come dicevo nel mio intervento, l'argomento è di quelli che porterebbero molto lontano.
Nel suo "Saggio sull'intelletto umano" John Locke, e siamo nel 1690, stabiliva che le mente dell'uomo, alla sua nascita, è una "tabula rasa", un vaso vuoto, pronto ad essere riempito, e che quello che ne deriverà sarà quindi tutto frutto dell'ambiente in cui vive e delle esperienze che farà, detto in parole povere.
Da questo parte un dibattito infinito, che col progredire delle scienza e della conoscenza, approda sempre più, a partire da Kant, che sosteneva che esisteva una predisposizione dell'uomo a conoscere le cose in un certo modo, verso il principio per cui la mente non sia una tabula rasa, ma che esistano individui più portati di altri verso determinate attività, altri più lenti, e alcuni persino geniali.
Venendo a noi, Salvatore sostiene che il talento vero è quello che si manifesta da piccoli, senza alcuna consapevolezza di regole, e che prescinde quindi dall'esperienza; Luisiccu, se ho capito bene, dice che, tranne eccezioni (Mozart), le capacità della mente non sono innate, ma derivano dall'esperienza e da tutto ciò che ci circonda e da come apprendiamo le cose.
Il pensiero moderno, come dicevo, propende ad affermare che la predisposizione innata dell'individuo conti molto e Kant, per esempio, nella sua "Critica alla ragion pura", affermava che le intuizioni erano un qualcosa "a priori" dalla nostra esperienza.
Contrariamente si può affermare, però, che esistono, per esempio, genitori ossessivi che "programmano" un figlio sin da prima della nascita per uno scopo ben preciso, come quello di diventare un musicista, e ci riescono.
Insomma, conta più la predisposizione innata dell'individuo, o l'ambiente in cui si cresce e le esperienze che si fanno?
Platone, per esempio, sostiene che nasciamo con una memoria "pronta all'uso".
Altre teorie sostengono che, condiderando che ogni uomo ha già dalla nascita un suo carattere ben definito e che ogni bambino è diverso dall'altro, questo rappresenti una prova della reincarnazione.
Questa teoria, in due parole, è sotenuta dal fatto che noi vediamo come ogni forma di talento si sviluppa mediante l'allenamento, attraverso metodi ben precisi proposti in scuole ed università in tutto il mondo, che servono ad aiutare gli allievi a sviluppare i talenti per la matematica, per la musica etc. E questo comporta una vita di allenamento. Di contro nascono uomini in cui questi talenti sono già sviluppati, Mozart, tanto per rifarmi all'esempio di Luisiccu, geniali, che fanno pensare che questi talenti siano stati sviluppati in una o più vite precedenti.
Un altro studio molto particolare sull'innatismo osserva che gemelli monozigoti separati dalla nascita condividono caratteristiche comportamentali molto particolari, che non hanno certo acquisito con l'esperienza, come entrare in acqua all'indietro e solo fino alle ginocchia, contare in modo ossessivo tutto ciò che hanno sotto gli occhi, lasciare in giro per la casa messaggi d'amore destinati alla moglie.
Insomma, poichè credo fermamente che su queste questioni dibattute per secoli la verità stia quasi sempre nel mezzo, la mia risposta è che, in ogni disciplina, per conseguire risultati estremi, ci vogliano sia talento innato che studio ed esercizio, entrambe le cose, e che non si possa prescindere né dall'una, né dall'altra.
Così, tanto per parlare.
Carlo
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