La diatonica ed il Jazz

Approfondimenti di teoria musicale applicata all'armonica.
Rispondi
Avatar utente
NPW
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 981
Iscritto il: giovedì 21 giugno 2007, 15:30

La diatonica ed il Jazz

Messaggio da NPW » mercoledì 6 agosto 2008, 15:48

Riprendo qui la discussione in merito all'utilizzo della diatonica nel Jazz iniziato nella sezione Tutto ciò che vi va di dire / Sondaggio.

...

A dir la verità, mentre ho abbastanza chiaro il concetto di tonalità di un brano e di posizione sull'armonica, mi sfugge il significato di "scala modale".
Ho trovato qualcosa in merito su Wikipedia (ionica, dorica, frigia, lidia, misolidia, eolia e locria) ma non sapevo che sono utilizzate nel Jazz.

Grazie e ...


Di lui ti devi preoccupare quando scrive, e non quando non scrive.
Lui è un pragmatico, e non si perde in chiacchiere.
(Manxcat)

http://soundcloud.com/n_p_w
Avatar utente
Andrew
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 697
Iscritto il: sabato 23 febbraio 2008, 16:48
Località: Lecce
Contatta:

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da Andrew » giovedì 7 agosto 2008, 0:07

Si, sono utilizzatissime nel jazz e anche in ogni altro genere di musica, inclusa quella classica...
Diciamo intanto che anche le due scale "maggiore" e "minore" che noi conosciamo e pratichiamo maggiormente sono in effetti due scale "modali": la prima corrisponde alla scala Ionia, la seconda, limitatamente alla scala "minore naturale", a quella Eolia.
Il concetto è facile, anzi, una volta che lo avrò esposto sono certo che tutti ci troveremo d'accordo sul fatto che son cose che conosciamo già da tempo, magari è solo la terminologia (scala "tonale" vs scala "modale") che rimane un attimo meno consueta.

Per costruire facilmente la nostra serie di scale modali aventi come riferimento tonale i successivi gradi di una scala maggiore, poniamo di partire dal DO centrale e di percorrere tutta la scala maggiore stessa: DO RE MI FA SOL LA SI (DO), con i semitoni tra il MI ed il FA e tra il SI ed il DO. Lo schema che ne verrà fuori sarà: T T sT T T T sT. Proviamo ora a partire non più dal DO ma dal RE successivo, senza aggiungere "tasti neri" e giungendo al RE dell'ottava successiva: RE MI FA SOL LA SI DO RE. Qui lo schema sarà T sT T T T sT T. Partiamo dal MI, dal FA eccetera e costruiamo così le nostre scale, sempre utilizzando solo i "tasti bianchi"; ogni volta lo schema della disposizione di toni e semitoni sarà differente ed i due semitoni saranno in posizioni diverse. Saranno avvenute cioè delle permutazioni.
Le scale che abbiamo costruito sono appunto le scale "modali", la prima, ripeto, quella maggiore è la scala Ionia di DO, la seconda è la Dorica di RE , la terza Frigia di MI, la quarta Lidia di FA, la quinta Misolidia di SOl, la sesta (parte dal LA ed è la scala minore naturale) Eolia di LA, e la settima Locria di SI.

Volendo invece costruire tutte le scale modali possibili per uno stesso centro tonale (ad esempio Do ionico, dorico, frigio, eccetera) poi, un altro sistema è quello di aggiungere volta per volta alla scala maggiore di riferimento (qui è DO), le alterazioni presenti nelle scale maggiori delle note a distanza di T T sT T T T sT verso sinistra. In pratica si applica lo schema della scala maggiore per moto contrario per trovare le alterazioni necessarie allo sviluppo delle varie modalità. In pratica procediamo così : Parto dal DO, ed è la scala Ionia (=maggiore), poi suono la scala di Do ma con le due alterazioni della scala di Sib, che è ad un tono di distanza verso sinistra (Sib e Mib) e viene Do Re Mib Fa Sol La Sib Do. Questa è la scala Dorica di Do. Poi eseguo la stessa scala di Do ma con le alterazioni della tonalità di Lab (Do Reb Mib Fa Sol Lab Sib Do) che è ad un altro tono di distanza verso sinistra rispetto al Do; questa è la scala Frigia di DO. Poi tocca alle alterazioni di Sol (il solo Fa Diesis), scala che è ad un semitono di distanza verso sinistra rispetto a quella di Lab le cui alterazioni sono state utilizzate per la costruzione della scala Frigia: Do Re Mi FA# Sol La Si Do. Tale è La scala Lidia di Do, poi ancora un Tono dopo, verso sinistra ed utilizziamo il Sib della scala di Fa per la scala Misolidia di DO (Do Re Mi Fa Sol La Sib Do), poi ancora i tre bemolli della scala di Mib (Sib Mib Lab) per la scala Eolia (quella minore) ed infine i cinque bemolli (Sib Mib Lab Reb Solb) per la scala Locria di DO.

In entrambi i casi presentati, i semitoni all'interno dello schema della scala assumeranno posizioni differenti (è appunto questo che determina le caratteristiche della varie scale), ed anche gli accordi che andremo a formare saranno via via differenti essendo costruiti su scale differenti. Naturalmente tutte le scale doriche avranno i due semitoni in una certa posizione che sarà sempre la stessa relativamente al centro tonale, tutte le frigie in un'altra e così via.
Ovviamente continueremo ad usare le due scale principali, maggiore/minore, per determinare la tonalità generale del brano, tuttavia usando le scale modali, avremo la possibilità di usufruire di modulazioni transitorie molto più varie ed interessanti nel corso della composizione e/o dell'assolo (ecco perchè tutti in pratica modifichiamo gli accordi dei brani che teniamo in repertorio).

Anche se tutto questo può sembrare un po' teorico, in realtà appartiene alla musica di tutti i giorni ed all'armonica in particolare: il motivo per cui ad esempio normalmente si suona il blues in "seconda posizione", utilizzando l'armonica nella tonalità della sottodominante rispetto alla tonalità originale del brano (=brano in DO armonica in FA) è proprio che in quel modo stiamo utilizzando la scala modificata contenente le alterazioni della sua sottodominante (il FA è il IV grado, cioè la sottodominante di DO). E' sbagliato quindi dire che il blues utilizza la scala Misolidia?

Ovviamente qui mi sono servito della scala di DO come esempio; il discorso, fatte le debite proporzioni vale a partire da ognuno dei 12 gradi della scala cromatica.
L'abitudine o se preferiamo, la scelta di "modaleggiare" più o meno poi, appartiene alle singole scelte del compositore o al massimo alla musica della sua epoca: era molto più modale la musica medievale (pensate a Greensleeves ad es.) che non la successiva barocca o romantica, e la ri-scoperta in tempi più attuali di quelle scale la dobbiamo ai primi gospels giunti dall'Africa con i galeoni carichi di schiavi a partire dalla fine del XVIII secolo. Parlando di musica contemporanea, per fare un nome su tutti, pensate al Bernstein di "West side story": ecco, quella è musica modale...
Qualche anno fa ho avuto modo di studiare le scale originali che vengono utilizzate in Etiopia grazie ad un mio ex allievo che me ne fece graditissimo dono: sono praticamente pentatoniche con qualche interessantissima variante... Al più presto mi piacerebbe postare qui gli schemi e metterli a disposizione di tutti noi. :)
Avatar utente
komeda
=|o|o|=
Messaggi: 56
Iscritto il: domenica 28 ottobre 2007, 16:36

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da komeda » giovedì 7 agosto 2008, 20:19

Andrew ha scritto: Volendo invece costruire tutte le scale modali possibili per uno stesso centro tonale [...]
Secondo me, costruire le scale modali partendo da un centro tonale è un procedimento corretto in teoria, ma nella pratica è molto fuorviante perchè nel momento in cui improvviso "modale" (e in questa discussione si parla di jazz..) non avrò mai un centro tonale, e se comincio a pensare che quel MI frigio è costruito sul terzo grado della scala di DO maggiore, sto già rientrando in una mentalità tonale. Invece per me è molto più utile pensare alla disposizione dei Toni/Semitoni come hai indicato nel precedente post, senza pensare a un centro tonale.
[...] era molto più modale la musica medievale (pensate a Greensleeves ad es.) che non la successiva barocca o romantica
Beh, Greensleeves non è proprio medioevale..è ben più avanti nel tempo, viene fatta risalire alla fine del ‘500, quando il "senso tonale” nella musica era già vivo, e si sente anche in questo pezzo, con alla fine tanto di sensibile che risolve in tonica..
Usare una 'Scala modale' o suonare in un 'modo' sono due cose ben differenti. Se poi si dice che usando una scala modale in un contesto tonale, questo dà un particolare e ricercato 'sapore modaleggiante', allora sono d'accordo, ma non significa che si sta suonando 'modale'.
Per tornare al medioevo, la musica medioevale per eccellenza è il Canto Gregoriano, quella si che è musica puramente modale, con i suoi 8 modi ecclesiastici.
Parlando di musica contemporanea, per fare un nome su tutti, pensate al Bernstein di "West side story": ecco, quella è musica modale...
Anche qui, "West Side Story" di Lenny Bernstein è un musical bellissimo, ma definirlo un esempio di "musica modale" però secondo me è abbastanza azzardato, in fondo mi sembra che quella musica abbia spesso e volentieri riferimenti tonali. "Tonight" non mi suona molto modale.. :mrgreen:

K.
Ultima modifica di komeda il giovedì 7 agosto 2008, 22:05, modificato 1 volta in totale.
Avatar utente
komeda
=|o|o|=
Messaggi: 56
Iscritto il: domenica 28 ottobre 2007, 16:36

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da komeda » giovedì 7 agosto 2008, 21:37

..per continuare con il discorso 'modi',
come già ho accennato sopra, il fatto di utilizzare una scala modale all'interno di un brano tonale, non significa che si sta suonando modale.

Per spiegarmi meglio, visto che nello specifico si parla di jazz, improvvisazione modale vorrebbe significare questo: scegliere uno dei modi (per esempio DO lidio, o RE frigio, ecc..ecc..) e fraseggiare liberamente usando le note della rispettiva scala ( che non significa suonare semplicemente la scala..ma costruire frasi usando quelle note), soffermarsi in quell’”ambiente modale” quanto a lungo si vuole, per poi passare a un qualunque altro "modo", scelto in base al "sapore" che si vuole ottenere, spesso usando una particolare nota del modo da cui si sta uscendo come “cerniera” con il nuovo modo in cui si sta entrando.
I “modi” quindi come “luoghi armonici”, in cui si utilizzano le note delle rispettive “scale modali”.
Quindi la “scala modale” e il “modo” sono due concetti ben distinti. "La scala non è il modo", come dice giustamente qualcuno..

Per fare l’esempio che suggeriva John Coltrane, se sto improvvisando nel modo C lidio, ad un certo punto, se sento il bisogno di “uscire” dal modo in cui mi trovo, posso usare il fa# (4° grado alterato) per “scappare” in FA# lidio e soffermarmi a piacere in quel luogo armonico (usando le note della rispettiva scala, che -ripeto- non significa suonare solo la scala..) finchè sento il bisogno di cambiare ancora modo, per esempio posso usare il si# (4° grado alterato) come “cerniera” per rientrare in C lidio.. Così si passa da un “modo” all’altro come passare da un “ambiente armonico” all’altro.

Gli accordi su cui si improvvisa sono loro stessi costruiti solitamente con le note della scala modale che si sta usando, e -a differenza del sistema tonale- vengono concatenati liberamente, perchè non sono più legati funzionalmente tra di loro, non c’è più un’accordo di settima di dominante che ha bisogno di risolvere in tonica, perché nell'improvvisazione modale non c’è più un centro tonale né una dominante, tutte le note della scala modale hanno la stessa importanza. Quindi non ha più senso neanche parlare di successioni armoniche V-I, o II-V-I (che è utilizzatissimo invece nel bebop). E non ha neanche più senso parlare di modo maggiore e minore, nè di tonalità del brano. Un RE frigio è semplicemente un RE frigio.
Si dice che il jazz modale, con i suoi fraseggi dilatati su pochi accordi tenuti lunghi, sia nato come reazione al bebop, che invece si fondava su una continua e frenetica concatenazione di progressioni armonche (tonali), tipicamente II-V-I.

Sul "jazz modale" in giro in rete si trova di tutto e di più, cos’è, cosa non è, chi l’ha fatto, da Davis a Coltrane, a Bill Evans..
Un tipico brano jazz modale è il famoso So What di Miles Davis (da Kind of Blue). E' storia del jazz.

Qui si può ascoltare (live):
http://www.youtube.com/watch?v=qr91QFmp ... re=related

Dopo l'introduzione ripetitiva, quando Davis attacca l'assolo ( a 0:45), resta per diverse battute in re dorico (su un accordo di REm7), fraseggiando liberamente utilizzando le note appartenenti alla rispettiva scala (re-mi-fa-sol-la-si-do). Sta quindi suonando nel “modo re dorico” (“luogo armonico”) attingendo dalle note della scala dorica. Poi salta a mi bemolle dorico (su un accordo di MIbm7), ci rimane fino a fare ritorno a re dorico, e continua così in questa alternanza tra i due modi. A un certo punto attacca l'assolo di Coltrane ( a 2:34) improvvisando, sempre sugli stessi due modi alternati, con quei suoi tipici fraseggi filati...Però consiglio la versione originale nell'album “Kind of Blue”, li c’è un Coltrane che fraseggia in modo meraviglioso e poi c’è Bill Evans al piano…
Questa è musica modale! :mrgreen:


Per chiunque voglia approfondire il discorso sui modi, consiglio questa ottima discussione, dal titolo "Modi, prime informazioni, luoghi comuni, falsi miti e..." che tra l’altro insiste sui concetti che ho più volte espresso sopra, che condivido in pieno:
si trova qui
http://www.musicoff.com/forum/teoria-ar ... visazione/

K.
Avatar utente
NPW
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 981
Iscritto il: giovedì 21 giugno 2007, 15:30

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da NPW » venerdì 8 agosto 2008, 11:21

Innanzitutto un pubblico ringraziamento per le dettagliate spiegazioni.
Adesso mi è più chiaro cosa sono le scale modali anche se, non conoscendo praticamente nulla del Jazz, non riesco ancora a legare le due cose.
Ma se io, da profano quale sono, volessi iniziare a "suonicchiare" qualche pezzo Jazz con la mia diatonica, cosa mi consigliate di fare?
Facciamo un esempio concreto.
Ho trovato lo spartito di Autumn Leaves (che se non sbaglio è un pezzo Jazz); all'inizio c'è la partitura con le note (e gli accordi) e poi c'è una parte senza note con gli accordi con scritto "SOLOS".
Immagino che a quel punto uno debba improvvisare. Ma come?
Il Jazz è pura improvvisazione?
Come posso procedere?
Grazie ancora e ...
Di lui ti devi preoccupare quando scrive, e non quando non scrive.
Lui è un pragmatico, e non si perde in chiacchiere.
(Manxcat)

http://soundcloud.com/n_p_w
Avatar utente
corrado
=|o|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 1835
Iscritto il: venerdì 22 giugno 2007, 11:04
Località: vimodrone -Mi

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da corrado » venerdì 8 agosto 2008, 14:11

Ho letto attentamente ed avidamente quanto scritto dai professionisti Andrea Nacci,(del quale conosciamo quasi tutto attraverso il suo sito internet)e Komeda del quale sarebbe gradito conoscere il curriculum artistico,in merito a scale,modale tonale etc.etc. Ho seguito anche la discussione sul forum segnalato da Komeda stesso.
Devo ammettere che sono stato assalito da una profonda angoscia provocata dalla consapevolezza che mai riuscirò ad impadronirmi di una teoria musicale così complessa.
Ma davvero bisogna conoscere così approfonditamente la teoria musicale per diventare un buon musicista oppure quel sapere è indispensabile solo ai compositori?
Riconosco che sono stato uno dei caldeggiatori delle lezioni di teoria su questo forum ma,credo di essere stato interprete di molti altri più o meno esperti,di qualcosa meno professionale e magari arricchito da esempi sonori.
Credete sia possibile imbastire un corso essenziale che comprenda esempi sonori (fateci sentire come suonano le varie scale)ed una tavola sinottica di tutti i simboli utilizzati del loro valore e del loro impiego?
Questo credo serva ai comuni mortali e per chi aspira all'Olimpo,ci sono fior di conservatori.
Ringrazio gli amici di cui sopra ai quali aggiungo anche NPW.
Corrado.
Avatar utente
komeda
=|o|o|=
Messaggi: 56
Iscritto il: domenica 28 ottobre 2007, 16:36

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da komeda » venerdì 8 agosto 2008, 14:25

NPW ha scritto: ...
Ho trovato lo spartito di Autumn Leaves (che se non sbaglio è un pezzo Jazz); all'inizio c'è la partitura con le note (e gli accordi) e poi c'è una parte senza note con gli accordi con scritto "SOLOS".
Immagino che a quel punto uno debba improvvisare. Ma come?
Il Jazz è pura improvvisazione?
Come posso procedere?
Ciao, di Autumn Leaves io a suo tempo mi ero scritto le note di ogni accordo, per capire come sono costruiti partendo dalle sigle.
C'è molto materiale in rete che spiega le sigle degli accordi.

Per improvvisare, all'inizio puoi usare soltanto le note che compongono l'accordo stesso sul quale suoni.

Poi puoi usare le note della scala che è associata all'accordo.
In questo bel sito puoi inserire la sigla dell'accordo che ti interessa, e ti dà la scala associata:

http://www.randomchord.com/index.php?ke ... ch=concert
(e ti fa sentire anche come suona l'accordo)

su ogni accordo che trovi nello spartito quindi tu userai le note della sua scala associata.
All'inizio puoi suonare la scala tale e quale, o solo frammenti, poi piano piano ti inventerai dei piccoli fraseggi sempre con quelle note..secondo il tuo gusto.

Poi c'è modo di complicare il tutto..
Io suono il pianoforte, l'armonica è arrivata di recente, ma il discorso sopra penso che possa valere per qualunque strumento, certo che con la diatonica è tutto molto più complicato.. me ne sto accorgendo :mrgreen:

Se ti può servire ti do anche un link dove trovi lezioni di jazz fatte molto bene:
http://www.jazzitalia.net/lezioni.asp

Ciao,
K.
Avatar utente
Andrew
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 697
Iscritto il: sabato 23 febbraio 2008, 16:48
Località: Lecce
Contatta:

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da Andrew » sabato 9 agosto 2008, 2:51

Sono assolutamente d'accordo sul fatto che scala e modo siano cose differenti, soprattutto sul rischio di vedere un assolo ridotto ad una serie di scale. Tuttavia, ed è probabilmente un mio limite artistico (oppure semplicemente un retaggio che mi porto dall'impostazione accademica dei miei studi che, ahimè appartengono a quel periodo in cui parlare di jazz in un'aula di conservatorio equivaleva quasi a farsi cacciare :mrgreen: ), non sono capace di fare a meno della presenza di un "percorso", meglio ancora di una "mappa armonica" preparata a monte dell'assolo stesso. Non riesco insomma a prescindere dal discorso tonale, se lo facessi molto probabilmente mi perderei.
Però, proprio da questa mia "schiavitù", faccio nascere le mie sostituzioni accordali, le "fughe improvvise a bordo di sentiero" e tutto il resto.
Una cosa che mi ha sempre colpito peraltro è che comunque si suoni, ovunque si cerchi di andare e per quanto ci si provi, tonale o modale - solo la musica seriale, e solo per alcuni versi se ne allontana, avendo a sua disposizione una grammatica totalmente differente e tuttora aperta - qualsiasi cosa facciamo con il nostro strumento potrà poi in sede di analisi essere ricondotta a precise regole armoniche e contrappuntistiche (in senso lato ovviamente). Ed i modelli che ne scaturiscono sono sempre modelli matematici precisissimi (e non per questo meno liberi).
Molto dipenderà forse dalla percezione che abbiamo a livello psicoacustico di ciò che chiamiamo "musica", intesa come discorso avente sempre un soggetto, uno sviluppo ed una conclusione logiche percepite come tali dal nostro cervello a causa della conformazione del nervo acustico e che ruotano intorno ad un "fulcro tonale" da cui non riusciamo a prescindere, tuttavia l'impressione che tutte le regole che abbiamo studiato non siano state "scritte" ma semplicemente "scoperte" resta. La stessa teoria dell'armonia alla fine si basa sullo sviluppo dell'analisi degli armonici di una corda messa in vibrazione, che è un fenomeno fisico, ed i primi 7 armonici formano un accordo di settima di dominante (I I V I III V VIIb "spalmati" in posizione lata su tre ottave, ad es. Do Do Sol Do Mi Sol Sib). Ed infatti ciò che ci affascina della musica non sono i singoli suoni, ma il rapporto in cui mettiamo gli uni con gli altri per farne "canzone", "brano", o "sinfonia". E' un metro innato in noi, che pur facendoci apprezzare in modo diverso vari generi musicali (classica, jazz, blues, metal eccetera), resta comunque lo stesso, da sempre.
Allora forse è solo una questione di angolazione da cui osservare un fenomeno, quello musicale, che per parte sua è un sistema ad entropia costante, per lo meno nella misura in cui pur dando ai vari fenomeni nomi diversi, questi restano gli stessi e tendono all'autocompletamento...
Tornando al discorso sulle improvvisazioni modali, se sto improvvisando sul modo di "DO Locrio" nell'ambito di un brano (che può non essere originariamente modale o esserlo, non fa differenza) in tonalità di Lab maggiore, potrò avere l'impressione di una lunghissima modulazione nel tono della sottodominante (Reb maggiore) e non di una volontaria incursione in un ambiente totalmente differente. Questo perchè le due scale, Do Locrio e Reb maggiore, alla fine sono composte dalle stesse note, pur con funzioni diverse. Se invece di Lab il brano fosse stato in Do, probabilmente avrei pensato ad un lungo passaggio sull'accordo di "Sesta aumentata" e mi sarei aspettato subito dopo o un accordo di Sol (per averlo percepito come dominante secondaria) o addirittura di Do (tonica). In questo caso il centro tonale (=la scala di riferimento) fa la differenza.
Certo, se il brano "nasce" modale (come "So what") l'atmosfera la percepisco immediatamente, altro è quando (ed è ciò che amo di più per la verità) prendo uno standard non modale e ne imposto una riscrittura armonica radicale che, pur non tradendo il tema originale, ne offra una visione compeltamente diversa, armonicamente "lenta" e di effetto più evanescente. Lo stesso vale, fatte le debite differenze, nel caso opposto in cui invece si vuole "tonalizzare" un brano modale.
Avatar utente
NPW
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 981
Iscritto il: giovedì 21 giugno 2007, 15:30

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da NPW » sabato 9 agosto 2008, 10:47

komeda ha scritto: ... di Autumn Leaves io a suo tempo mi ero scritto le note di ogni accordo, per capire come sono costruiti partendo dalle sigle ...
Ti ringrazio per le "dritte" ma purtroppo sono nuovamente a chiedere aiuto.
Pur con l'ausilio degli strumenti in rete (Chord generator e Chord calculator) non riesco a "risolvere" alcuni accordi.
Ho riportato qui la parte "SOLOS" di Autumn Leaves.
Fino a C-, F7, G-, C7, etc. ci arrivo da solo, ma per il resto è ... nebbia completa!
Grazie in anticipo e ...
Di lui ti devi preoccupare quando scrive, e non quando non scrive.
Lui è un pragmatico, e non si perde in chiacchiere.
(Manxcat)

http://soundcloud.com/n_p_w
Avatar utente
Andrew
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 697
Iscritto il: sabato 23 febbraio 2008, 16:48
Località: Lecce
Contatta:

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da Andrew » sabato 9 agosto 2008, 18:22

Se il problema è la simbologia usata per le altre sigle, ecco come interpretrarle:

il triangolo: indica che l'accordo in questione è una triade, non un accordo di settima (nel Jazz generalmente tutti gli accordi sono considerati settime "di default" :mrgreen: a meno che non sia specificato, appunto dal triangolo). Tra l'altro noterai come spesso invece la settima sia segnata per esteso: in quel caso ha funzione dominantica, cosa dimostrata dal fatto che a seguire c'è sempre la "sua" tonica (ad es. dopo D7 trovi G- , dopo G7 trovi C- e così via).

lo "zero spaccato": indica l'accordo semidiminuito (lo "zero" indica invece quello diminuito).

+4 +9: indicano la "quarte aumentate" e le "none maggiori", a volte li trovi indicati (non in questo spartito però) come #4 e maj9. Anche le settime in qualche caso sono segnalate come +7 o maj7 ove siano richieste espressamente (solitamente quando in base alla scala usata non dovrebbero esserlo, grammaticalmente parlando).

le parentesi: indicano che gli accordi sono facoltativi, o che (battuta 24) in quel caso lo è aggiungere la 4° aumentata alla triade di Mib.

Il segno "./." all'interno di alcune battute: essendo posizionato all'interno del pentagramma è l'indicazione di suonare la battuta in modo identico a come hai suonato quella precedente.

Il segno del cerchio con la croce sovrapposta
: è un segno di richiamo. In pratica, arrivato alla fine della battuta 32 devi suonare il pezzo da capo (anche se manca un segno di ritornello che ci sarebbe stato bene, ti suggerisco di aggiungerlo mettendo ":" alla fine della battuta in questione) ed arrivato al primo dei due "cerchi crociati" (battuta 30) salti direttamente alla battuta indicata come "coda" dove trovi l'altro cerchio crociato (battuta 33). Ovviamente se esegui più giri di assolo, questa cosa la fai solo all'ultima ripresa.

Spero di esserti stato utile :-)
Ciao
Avatar utente
komeda
=|o|o|=
Messaggi: 56
Iscritto il: domenica 28 ottobre 2007, 16:36

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da komeda » sabato 9 agosto 2008, 19:07

Andrew ha scritto:Se il problema è la simbologia usata per le altre sigle, ecco come interpretrarle:

il triangolo: indica che l'accordo in questione è una triade, non un accordo di settima (nel Jazz generalmente tutti gli accordi sono considerati settime "di default" :mrgreen: a meno che non sia specificato, appunto dal triangolo). Tra l'altro noterai come spesso invece la settima sia segnata per esteso: in quel caso ha funzione dominantica, cosa dimostrata dal fatto che a seguire c'è sempre la "sua" tonica (ad es. dopo D7 trovi G- , dopo G7 trovi C- e così via).
..ma dai? azz...e io che ho sempre pensato che il triangolo volesse dire che invece è un accordo di settima, e precisamente di aggiungere la settima maggiore alla triade di base! :mrgreen:

:idea: Ctriangolo = Cmaj7

K.
Avatar utente
komeda
=|o|o|=
Messaggi: 56
Iscritto il: domenica 28 ottobre 2007, 16:36

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da komeda » sabato 9 agosto 2008, 20:37

NPW ha scritto: [..] non riesco a "risolvere" alcuni accordi.
Ho riportato qui la parte "SOLOS" di Autumn Leaves.
Fino a C-, F7, G-, C7, etc. ci arrivo da solo, ma per il resto è ... nebbia completa!
Grazie in anticipo e ...
Ciao,
se può servire, provo a mettere insieme un po’ di altre cose, per integrare quanto detto sopra.

Da quanto so, in generale con una sigla (le lettere C,D,F, ecc.) si indica l'accordo di tre suoni costruito con la prima, la terza e la quinta nota della scala maggiore di quella nota.
Per es.:
con C si indica l'accordo di tre suoni costruito con la prima, la terza e la quinta nota della scala di DO maggiore: DO MI SOL.
Se davanti alla sigla c’è il meno, o la “m” allora si fa riferimento alla scala minore.
Per es.:
con D- (oppure Dm) si indica l’accordo costruito con la prima, la terza e la quinta nota della scala di RE minore: RE FA LA.
Altri esempi di accordi di tre note (che sono detti anche trìadi):

F = fa la do
Bb = sib re fa
Eb = mib sol sib
G- = sol sib re

Però nel jazz questi accordi di tre suoni (si chiamano triadi, ma per semplicità successivamente li chiamerò “accordi di base”), che così come sono possono sembrare un po' poveri, vengono "arricchiti" aggiungendo ulteriori note, tipicamente si aggiungono settime e none, o anche undicesime e tredicesime.
Sono proprio queste aggiunte che fanno la differenza e danno quel particolare sapore di jazz…
_______________________________________________________________
Cos'è una settima, una nona, una quarta..

La "settima maggiore" è la settima nota della scala maggiore della nota di base.
Per esempio l’intervallo DO-SI è una settima maggiore, perchè SI è la settima nota della scala di DO maggiore.
RE-DO# è un intervallo di settima maggiore.

La "settima minore" puoi pensarla come la settima maggiore abbassata di un semitono.
Per es. DO-SIb è un intervallo di settima minore.
RE-DO è un intervallo di settima minore.

La "nona" è la nona nota della scala maggiore della nota di base.
Per esempio l’intervallo DO-RE (il re quello all’ottava sopra) è un intervallo di nona, perché il RE è la nona nota della scala di DO.

La “quarta” è la quarta nota della scala maggiore della nota di base.
Quindi DO-FA è un intervallo di quarta, perché FA è la quarta nota della scala di DO.
Oppure: Mib-Lab è un intervallo di quarta, perchè LAb è la quarta nota della scala di MIb.

(nello stesso modo si definiscono la seconda, la terza, la quinta, la sesta, l'undicesima, la tredicesima...)
___________________________________________________________________

Per aggiungere settime e none all’accordo di base,
in generale ci sono queste convenzioni:

il "7" da solo davanti a una sigla (per sigla intendo la lettera maiuscola) indica che all'accordo di base bisogna aggiungere la settima minore.

il triangolino "Δ" davanti a una sigla significa che all'accordo di base si deve aggiungere la settima maggiore.

il "maj7" ha lo stesso significato del triangolino.

il "9" davanti a una sigla significa che all’accordo di base bisogna aggiungere una nona.

il "+9" (oppure #9) davanti a una sigla significa che all’accordo di base bisogna aggiungere una nona aumentata.

il "+4" (oppure #4) davanti a una sigla significa che all’accordo di base si deve aggiungere una quarta aumentata.

Lo “zero sbarrato” significa che nell'accordo minore di base bisogna suonare la quinta diminuita (cioè abbassare la quinta di un semitono), e in più aggiungere la settima minore.

dove:

il termine "aumentata" significa "alzata di un semitono";
il termine "diminuita" significa "abbassata di un semitono".

____________________________________________________________________
Alla luce di quanto scritto sopra, facendo riferimento al link che hai messo, i primi 8 accordi delle prime 8 battute di Autumn Leaves dovrebbero essere interpretati così:

1) C-
Si trova anche scritto Cm.
Indica semplicemente l'accordo di do minore (do mib sol).
In realtà di solito si mette anche la settima, quindi diventa: do mib sol sib.

2) F7
Indica l'accordo di FA con in più la settima minore:
le note dell'accordo quindi sono fa la do mib

3) BbΔ
il triangolino davanti a una lettera sta a indicare che all'accordo di base bisogna aggiungere la settima maggiore.
Allora "Bb Δ" indica l'accordo di SIb (sib, re,fa) con in più la settima maggiore (la):
quindi l'accordo è composto dalle 4 note sib, re, fa,la.

NB.: come dicevo sopra, nelle sigle al posto del Δ è più comune trovare scritto "maj7", che ha lo stesso identico significato del Δ. Percui "Bb Δ" lo trovi più comunemente scritto come "Bbmaj7", che sta a significare appunto l'accordo di base di SIb con la settima maggiore.

4) EbΔ+4
"Eb triangolino +4" indica l'accordo di base di Mib (Mib, sol, sib) a cui devi aggiungere la settima maggiore (re), e la quarta aumentata, cioè la quarta (la bemolle) alzata di mezzo tono (la naturale).
Quindi l'accordo è composto dalle note mib, sol, la, sib, re(il sib può essere tralasciato).


5) A zero sbarrato
Una sigla con davanti lo "zero sbarrato" sta a indicare un'accordo "semidiminuito".
Cioè in pratica, "A zero sbarrato" significa che bisogna suonare l'accordo minore di base ma con la quinta diminuita (cioè abbassata di un semitono), la do mib, e aggiungere la settima minore (sol).
Quindi l'accordo diventa: la do mib sol

6) D7+9
Lo trovi scritto anche come D7#9.
Significa che all'accordo di base di RE (re fa# la)devi aggiungere la settima minore (do) e la nona aumentata (mi#).
Quindi l'accordo diventa: re fa# la do mi#

7) G-
Lo trovi scritto anche come Gm.
Indica la triade di sol minore (sol sib re).
Qui è più bellino se aggiungi anche la settima, quindi diventa Gm7=sol sib re fa

8 ) G7+9
Lo trovi scritto anche come G7#9.
Indica l'accordo di base di SOL (sol si re) a cui devi aggiungere la settima minore (fa) e la nona aumentata (la #).
Quindi l'accordo diventa: sol si re fa la#


Gli accordi nelle battute che seguono sono bene o male gli stessi, o comunque si possono ricavare con gli stessi criteri.
_______________________
In un secondo tempo, visto che sono tutti accordi di almeno 4 suoni, e il tempo di Autumn Leaves è di 4/4 con 1 accordo per battuta, uno può cominciare col suonare 1 nota per ogni quarto, scegliendo quelle che vuole dell’accordo, in modo da fare una melodia.
Poi si arriva in modo naturale a usare le scale associate a ciascun accordo, perché viene spontaneo collegare con “note di passaggio” una nota con l’altra dell’accordo stesso.

Ciao, buona serata,

K.
Ultima modifica di komeda il domenica 10 agosto 2008, 21:28, modificato 1 volta in totale.
Avatar utente
Andrew
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 697
Iscritto il: sabato 23 febbraio 2008, 16:48
Località: Lecce
Contatta:

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da Andrew » domenica 10 agosto 2008, 0:30

komeda ha scritto: ..ma dai? azz...e io che ho sempre pensato che il triangolo volesse dire che invece è un accordo di settima, e precisamente di aggiungere la settima maggiore alla triade di base! :mrgreen:

:idea: Ctriangolo = Cmaj7

K.
Sarei felice se mi dicessi dove hai trovato questa definizione, io la mia a suo tempo l'ho presa dalla pubblicazione di G.Gazzani "Workbook - Composizione ed Arrangiamento per jazz orchestra" edizioni Polyhymina... 8)
Così come la nozione che nel jazz gli accordi si intendono automaticamente di settima è citata anche da N. De Rose nei suoi due volumetti "Tecnica dell'improvvisazione jazzistica" ed "Armonia e fraseggio jazz", entrambi editi da Melodi.

Però è vero, anzi verissimo che abbiamo ragione entrambi... :roll: Paradossalmente sulle sigle non esiste "accordo" :P non c'è alcuna convenzione ufficiale, forse perchè tanto poi ciascuno si regola a proprio modo, sostituzioni e tutto il resto. E, a quanto pare, la letteratura "tecnica" non contribuisce a fare chiarezza.
John Meghan nel suo "Improvising Jazz piano" (Ed. Curci) auspica addirittura l'uso dei gradi della scala al posto del nome dell'accordo e ad una cifratura presa direttamente dal "basso continuo" di clavicembalistica memoria.

Che dire? La questione resta aperta. Ci sono troppe "scuole di pensiero" nel mondo (ovviamente non parlo solo del jazz italiano) per poter affermare qualcosa con sicurezza a proposito della siglatura degli accordi... In "Autumn leaves" se al posto dei triangoli metti delle triadi la cosa ha un senso musicale, secondo me, se invece ci aggiungo la settima maggiore... lo ha lo stesso, perchè sei tu e soltanto tu a poter sapere come "senti" quel brano dentro di te ed allora la tua lettura avrà tutta l'importanza di un messaggio artistico, il tuo. Nel jazz siamo molto più che esecutori: siamo anche un po' compositori (molto più che un po') e non solo in fase di assolo...

Andrew
Avatar utente
NPW
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 981
Iscritto il: giovedì 21 giugno 2007, 15:30

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da NPW » domenica 10 agosto 2008, 10:53

Bellissimo! Devo dire che è stato bellissimo leggervi. E di questo vi ringrazio tutti quanti.
Mi sembra di aver capito che per quanto riguarda l'improvvisazione, ognuno fa un po' quel che vuole.
Condivido tutta la preoccupazione di Corrado:
corrado ha scritto:... Devo ammettere che sono stato assalito da una profonda angoscia provocata dalla consapevolezza che mai riuscirò ad impadronirmi di una teoria musicale così complessa ...
e penso che per un po' dovrò accontentarmi della melodia "di base".
Mi associo infine alla sua richiesta
corrado ha scritto:Credete sia possibile imbastire un corso essenziale che comprenda esempi sonori (fateci sentire come suonano le varie scale)ed una tavola sinottica di tutti i simboli utilizzati del loro valore e del loro impiego?
Questo credo serva ai comuni mortali e per chi aspira all'Olimpo,ci sono fior di conservatori ...
Grazie ancora
Di lui ti devi preoccupare quando scrive, e non quando non scrive.
Lui è un pragmatico, e non si perde in chiacchiere.
(Manxcat)

http://soundcloud.com/n_p_w
Avatar utente
komeda
=|o|o|=
Messaggi: 56
Iscritto il: domenica 28 ottobre 2007, 16:36

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da komeda » domenica 10 agosto 2008, 13:04

Andrew ha scritto:
komeda ha scritto: ..ma dai? azz...e io che ho sempre pensato che il triangolo volesse dire che invece è un accordo di settima, e precisamente di aggiungere la settima maggiore alla triade di base! :mrgreen:

:idea: Ctriangolo = Cmaj7

K.
Sarei felice se mi dicessi dove hai trovato questa definizione, io la mia a suo tempo l'ho presa dalla pubblicazione di G.Gazzani "Workbook - Composizione ed Arrangiamento per jazz orchestra" edizioni Polyhymina... 8)
Penso sia abbastanza consolidato l'utilizzo del triangolo ( o "delta") davanti a una sigla (oppure messo come apice) per indicare l' "aggiunta" (e non la soppressione) della settima maggiore. Già Coltrane lo usava in questo senso.

Cito un testo importante di teoria e armonia jazz:

A proposito dell'accordo di settima maggiore [do mi sol si] presentato in figura 2-6 dice:
"shows a C major 7th chord. A common symbol for this chord is the triangle. This chord is called “major 7th “ because of the intervallic relationships between the root of the chord and its 3rd and 7th".
[Mark Levine, “The Jazz Theory Book”, Pg. 17]

A C major 7th chord can be notated as Cmaj7, CM7, or CΔ, and they mean pretty much the same thing. Many musicians just write C.
[Mark Levine, “The Jazz Theory Book” -A Note on Terminology and Chord Symbols, IX]

Anche nel "The Aebersold Jazz Handbook" di Jamey Aebersold viene data la stessa definizione.

Poi non metto in dubbio che Gazzani nel suo libro abbia usato il simbolo del delta con una altro significato (l'opposto..).
_______________
Sul reale significato del delta puoi trovare conferme anche in rete.
Così come la nozione che nel jazz gli accordi si intendono automaticamente di settima è citata anche da N. De Rose nei suoi due volumetti "Tecnica dell'improvvisazione jazzistica" ed "Armonia e fraseggio jazz", entrambi editi da Melodi.
E' verissimo, non ho mai detto il contrario. Infatti nel jazz, "C" da solo indica lo stesso identico accordo di "Cmaj7" e di "CΔ".
Oppure "Cm" indica un accordo con sottintesa la settima minore (do mib sol sib). Però se hai "CmΔ" , il delta sta ad indicare chiaramente che sulla triade minore devi suonare la settima maggiore invece di quella minore (do mib sol si).
Che dire? La questione resta aperta. Ci sono troppe "scuole di pensiero" nel mondo (ovviamente non parlo solo del jazz italiano) per poter affermare qualcosa con sicurezza a proposito della siglatura degli accordi... In "Autumn leaves" se al posto dei triangoli metti delle triadi la cosa ha un senso musicale, secondo me [...]
..però credo che, se ci pensi bene, non ci siano dubbi che proprio in Autumn Leaves, in una progressione armonica di uno standard jazz, nella notazione che ha proposto NPW qui gli accordi BbΔ , EbΔ+4 sono inequivocabilmente accordi con la settima maggiore.
Penso che alla fine sarai d'accordo anche tu che in questo contesto non avrebbe tanto senso la presenza, nel terzo e quarto accordo (questo con la quarta aumentata), di un simbolo (il triangolo) con la specifica richiesta di "togliere" la settima, come dici tu.

Che poi uno su una sigla possa costruirci sopra un accordo complesso come gli pare oppure viceversa ridurlo a poche note (come faceva Bill Evans) è un altro discorso.

Ciao,
K.
Ultima modifica di komeda il domenica 10 agosto 2008, 14:43, modificato 1 volta in totale.
Avatar utente
corrado
=|o|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 1835
Iscritto il: venerdì 22 giugno 2007, 11:04
Località: vimodrone -Mi

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da corrado » domenica 10 agosto 2008, 13:48

NWP,io veramente ti ho citato fra gli esperti.
Nonostante non ci capisca un granchè,ho continuato a seguire le disquisizioni sulla teoria musicale e faccio alcune considerazioni per le quali chiedo i vostri commenti nella speranza di dissipare i miei dubbi.
Vengono citati accordi formati da quattro note,C-do mib sol sib
oppure,F7-fa la do mib,e ancora,D7+9-re fadies. la do midies. e altri
:ma con l'armonica non sono possibili.
State quindi discutendo in senso generale?O vi riferite a chitarra,piano e altri strumenti?
Il tutto è applicabile anche alla musica classica eseguita con la cromatica?(notoriamente questo tipo di musica non ammette o quasi improvvisazione).
Grazie per le risposte che vorrete darmi.
Corrado.
Avatar utente
frank-blues
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 815
Iscritto il: mercoledì 20 giugno 2007, 22:54
Contatta:

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da frank-blues » domenica 10 agosto 2008, 15:12

Ciao Corrado,
ancora non ho avuto il tempo di leggere tutta questa lunga, ma interessante, discussione. Credo comunque di essere in grado anche io di rispondere alle tue domande.
Si sta parlando di accordi non allo scopo di eseguirli con l'armonica, ma perchè la conoscenza delle note che compongono gli accordi è utlile nell'improvvisazione Jazz.
Un modo per improvvisare nel jazz, ovvero di inventare dei fraseggi musicali da abbinare ad un giro di accordi di un brano jazz, è quello di utilizzare, in corrispondenza di ciascun accordo, le note che compongono quell'accordo. In pratica in un brano jazz c'è una certa sequenza di accordi e tu puoi, in corrispondenza di ogni accordo, eseguire delle frasi musicali utilizzando le note che compongono l'accordo. Per esempio, per cominciare, puoi eseguire le note dell'accordo nella sequenza naturale (con la chitarra equivale a fare degli 'arpeggi'). Poi pian piano puoi creare delle frasi musicali.
Ovviamente questo discorso dell'improvvisazione non si applica alla musica classica. Al più può esserti utile imparare la composizione degli accordi sei sei interessato alla composizione di musica classica (non alla semplice esecuzione). Ma su quest'ultimo punto sicuramente ti saprà spiegare meglio Andrew.
Avatar utente
Andrew
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 697
Iscritto il: sabato 23 febbraio 2008, 16:48
Località: Lecce
Contatta:

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da Andrew » domenica 10 agosto 2008, 17:29

frank-blues ha scritto: Ovviamente questo discorso dell'improvvisazione non si applica alla musica classica.
No, infatti, per lo meno oggi ed eccezion fatta per eventi particolari in cui è proprio l'estemporaneità del materiale proposto a costituire il "soggetto" del concerto. Di solito però in quei casi si tratta di incontri dedicati a varie forme di sperimentalismo, è capitato anche a me di partecipare a manifestazioni del genere, l'ultima volta è stato circa due anni fa. Inoltre oggi (quanto meno fino alla fine degli anni '80 più o meno) ci troviamo spessissimo in presenza di spartiti creati sulla base di una simbologia grafica che con le note, il pentagramma eccetera non ha nulla a che fare: uno per tutti "Piano piece for Edward Tudor" di Sylvano Bussotti, il cui spartito è costituito da una specie di "S" coricata su un fianco su un foglio bianco...
Però sto includendo nel concetto di "musica classica" anche quella contemporanea-sperimentale, cosa a mio modo di vedere ovvia ma che non incontra il favore di tutti. Ma io sono uno che considera musica classica anche i Genesis, i Jethro Tull ed i Pink Floyd, e parlo sul serio! :mrgreen:

Nel mondo della musica classica in senso stretto il momento dell'improvvisazione durante i concerti c'è stato fino alla seconda metà dell'800 più o meno, quando ancora prevaleva l'uso di eseguire praticamente solo musica propria e ancora non si era affermata la figura dell'interprete come la conosciamo oggi. In periodi ed in stili ovviamente differenti hanno improvvisato Bach, Mozart, Beethoven, Chopin eccetera, sia su temi "originali" che su proposte del pubblico stesso, di solito basate su temi di canzoni popolari alla moda in quel momento. Certo, non è che tutto il concerto fosse ridotto a quello, tuttavia l'improvvisazione non mancava mai.

E pensare che oggi quando chiedo a colleghi pianisti e chitarristi di collaborare con me la prima cosa che mi sento dire più spesso è: "basta che sia tutto scritto su uno spartito, non chedermi di improvvisare!" Apro un piccolo off topic: non è per fare polemica, ma io vengo considerato tuttora "con sospetto" in certi ambienti accademici perchè, oltre ad occuparmi di classica (che poi è il mio lavoro)... faccio jazz (!) Io vorrei mostrare a quei signori, per esempio, lo scambio di opinioni tra Komeda e me a proposito delle sigle accordali ed invitarli per lo meno a sfogliare, non dico tanto, solo a sfogliare, alcuni dei testi che abbiamo citato entrambi. Forse si renderebbero conto che stanno perdendosi qualcosa di importante...

A proposito di come iniziare ad improvvisare su uno standard, Corrado, se posso suggerirti un metodo a mio avviso efficace (sto scoprendo l'acqua calda però, mi sa... :lol: ): suona un brano che ti piaccia, suonalo sempre, suonalo tutto il pomeriggio. Fa che sia "tuo" come sicuramente succede per buona parte del tuo repertorio. Poi inizia a suonarlo modificandolo, variandolo, cambiando singole note, rendendolo via via sempre meno riconoscibile ed ogni volta rendendolo diverso. Se hai a disposizione una base, utilizzala sia per eseguirlo che per improvvisarci su. Memorizza delle piccole frasi ritmiche da adattare a differenti sequenze di note: saranno i tuoi "riffs". Poco alla volta ti accorgerai che diventa sempre più facile. Utilizza all'inizio le note dell'accordo (questa si chiama improvvisazione "orizzontale"), poi inizia ad inserirne di estranee (improvvisazione "verticale"). Non lasciarti intimidire dalle sigle degli accordi, ricorda invece che più spesso di quanto non si pensi, soprattutto "4", "9", "11" eccetera sono comprese nella melodia, tu semplificali, leggili come fossero semplici settime.
E non lasciarti scoraggiare dal fatto che possano mancarti alcune nozini teoriche: sei un Musicista, ascolta il tuo cuore. 8)

Andrew
Avatar utente
NPW
=|o|o|o|o|o|o|o|=
Messaggi: 981
Iscritto il: giovedì 21 giugno 2007, 15:30

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da NPW » domenica 10 agosto 2008, 21:38

corrado ha scritto:NPW,io veramente ti ho citato fra gli esperti.
Grazie mille Corrado, ma non sono per nulla un "esperto". Non mi avvicino nemmeno lontanamente ai livelli di Andrea e "komeda", loro sono dei Musicisti (con la "M" maiuscola), io no.

Per quanto riguarda comunque i tuoi dubbi in merito agli accordi ed all'armonica
corrado ha scritto:...Vengono citati accordi formati da quattro note,C-do mib sol sib oppure,F7-fa la do mib,e ancora,D7+9-re fadies. la do midies. e altri ma con l'armonica non sono possibili.
la risposta di "frank-blues"
frank-blues ha scritto:... utilizzare, in corrispondenza di ciascun accordo, le note che compongono quell'accordo. ... puoi, in corrispondenza di ogni accordo, eseguire delle frasi musicali utilizzando le note che compongono l'accordo.
è perfetta e pienamente condivisa.

Tornando a noi, ho scoperto che sul DVD "New Directions For Harmonica" di Howard Levy, che avevo acquistato un po' di tempo fa (e poi ahimè dimenticato!), c'è anche Autumn Leaves con la spiegazione (in inglese) degli accordi per l'improvvisazione ... chissà che ascoltandolo per mesi e mesi ... magari anche di notte ... forse un giorno ...
Di lui ti devi preoccupare quando scrive, e non quando non scrive.
Lui è un pragmatico, e non si perde in chiacchiere.
(Manxcat)

http://soundcloud.com/n_p_w
andreaZan

Re: La diatonica ed il Jazz

Messaggio da andreaZan » domenica 10 ottobre 2010, 16:02

Ragazzi mi accorgo solo ora di questo topic, complimenti a tutti , soprattutto a Andrew e Komeda nella loro dedizione divulgativa, portare le basi di armonia jazz agli armonicisti diatonici è una nobile impresa.
Io ho avuto meno problemi all'inizio ad approcciarmi con scale e modi essendo già tastierista,per l'intrinseca natura "sinottica" dello strumento, ricordo bene da piccolo invece le difficoltà di qualche mio amico trombettista alle prese con la teoria. Si tratta tuttavia di una tappa obbligata: i risultati compenseranno tutta la fatica.
Credo che il modo più semplice di avvicinarsi al jazz (mi riferisco agli standard perchè è sempre da lì che si comincia) sia proprio quello di allontanarsi dalle classiche seconda e terza posizione predilette da noi "bluesman" e sperimentare invece (senza l'ausilio degli overbend) altre posizioni.

Vorrei fare un esempio molto pratico in cui cercherò di essere quanto più semplice possibile:
Sappiamo che un "filone" di standards jazz si basa su successioni di accordi che possiamo derivare dalla scala diatonica di C. C D E F G A B
tra questi vi sono ad. Fmaj7, Cmaj7, G7, etc...
Prendiamo ora in considerazione una classica successione:
D-Δ ( D F A C)
G7 ( D F G B)
CΔ ( C E G B)
FΔ ( C E F A)

notiamo che le singole scale associate a ciascun accordo si rifanno alla scala che anche l'armonicista novellino conosce: C, D, E, F,G,A,B,C, e sono "sovrapponibili". Dunque con unica scala possiamo
"improvvisare" (beh, detta così è una parola grossa.. tuttavia è così che si inizia) sulla nostra scala accompagnando le nostre note agli accordi indicati sopra suonati su di una tastiera.
Ovviamente c'è un problema: chi di noi si accontenterà di suonare la scala maggiore senza bend con quel suono piatto della prima posizione ? Nessuno di certo. Proviamo dunque una scorciatoia ad effetto: suonare la scala di Cmaj7 usata finora su un'altra armonica con una tonalità. La più utile è la tonalità che si trova una quinta sotto (la dodicesima posizione): ossia suoniamo la scala di C su di un'armonica in G .
Tuttavia anche in seconda posizione la cosa funziona a dovere.

Con qualche bend ( e nessun overbend,occhio) è possibile ottenere una scala di Cmaj7. Ovviamente oltre alle note della scala maggiore abbiamo a disposizione tutti gli altri bend a nostra scelta.
Spero di aver dato un esempio pratico per iniziare...buon lavoro ora ;)
AndreaZan
Rispondi